testo di ”Indoeuropei o no”, intervento a “MYTHOSLOGOS” Lerici luglio 2017

…per la sua intrinseca natura, la semiotica…di una lingua… è da qualificare invece come i s t i t u- z i o n a l m e n t e aperta:nella individuazione delle norme sociostatistiche di utilizzazione e realizzazione della infinita potenzialità semiotica della lingua essa trova non un limite, ma un ordine, non chiusure, ma direzioni di indagine. Seguire le une o le altre comporta una scelta: diversamente da altre discipline della lingua serrate nel limbo della neutralità, la semiotica dei noemi lessicali, la … semantica, deve necessariamente prendere partito entro le divisioni che solcano le società umane.

(Tullio De Mauro: Introduzone alla semantica, Bari 1971²,pp.280-281)

“Quando io uso una parola” disse Humpty Dumpty con sussiego, “significa esattamente quel che io ho deciso che significhi – né più né meno”.

“Ma il problema”, disse Alice, “è capire se tu puoi fare in modo che le parole significhino cose differenti”.

“Il problema è” disse Humpty Dumpty, “chi è che comanda, ecco tutto!”.

(Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, citato da De Mauro in op.cit., p.184).

Indoeuropei o no (con un’appendice sull’opera di Giovanni Semerano)

intervento preparato da Paolo Bertini per MythosLogos del 27 luglio 2017, presso il bar Pontile di Lerici

1

Nell’anno 3153 d.C., il tischo Franzisko Smid Wo si trovava nell’antichissima città di Genua, in qualità di counsoli a disposizione dell’ambassadore a Roma dello stato Nipponiano. Lo Smid Wo aveva già prestato servizio in un ruolo simile poco prima in Portokalo, paese di cui conosceva perfettamente l’idioma. Appassionato- in maniera tutt’altro che artigianale – di linguistica storica, scoprì nella soffitta della antica casa di un amico genuese (che frequentava spesso) un’edizione a stampa, priva di supporti digitali fonetizzati, delle commedie del noto Jylberto Kovi.

Lo SW notò fin dalla prima lettura impressionanti somiglianze linguistiche fra il Portoghese e il genuese. Per limitarci per ragioni di tempo alle più evidenti:

voče – vuscià per dire voi/lei

le finali in -au/ou dei verbi al passato (cfr. il passaggio della nota canzone genuese inveğe tì m’a preparou a meneštrina co i ővi: invece tu m’hai preparato la minestrina con l’uovo)

lavorando alla sua idea di una matrice genuese che tramite spostamenti del popolo ligure avrebbe espanso la propria influenza verso il Portokalo, evitando con navigazione diretta l’ansa della Franza, intelligentemente lo SW pensò di applicare la teoria delle aree laterali, e vista la propensione dei due popoli alla navigazione scelse gli Iowa (in genuese detti “Greci”) come corrispettivo orientale dell’espansione genuese.

L’analisi confermò la giustezza del suo modo di procedere; ci limiteremo solo agli esempi più evidenti:

GENUESE

IOWA

rse borsa

Βύρση borsa

Acatàe (spezzino catàe) comprare

Κτάομάι acquistare

Camalàe portare pesi con fatica

Κάμάτος fatica κάμήλος cammello κάμνω soffro, mi affatico

Mandìlo fazzoletto

Μάνδύλλιον scialle, telo

Polèo puledro

Πωλος puledro

Reìza efficacia, resa

Ρέζω faccio fino in fondo

Non mancarono le difficoltà: SW rimase molto stupito che il nome con cui gli Iowa (Greci), come molte lingue europee e addirittura alcuni dialetti liguri designano il frutto dell’arancia, cioè portokali (frutto del Portokalo) fosse del tutto assente sia nel genuese che nel portokalese, che presentano rispettivamente e četròn e laranja, e rimase incerto se attribuire tali esiti alle forti presenze di sostrati o al fatto che l’Iowa fosse area periferica della grande espansione genuese. Ma la teoria ormai era nata; e in seguito fu irrobustita da studi linguistici e non: le somiglianze tra portoghese – italico – e spagnolesco; la conferma della reale esistenza di Cristoforo Colombo -non a caso genuese- e della sua navigazione, la colonizzazione del Sudamerika, fino alla sensazionale scoperta che in un quartiere di Bones AYIràs, detto del Boca, si parlasse un perfetto genuese.

I vari studiosi che proseguirono l’opera di SW chiamarono la sua teoria – ormai non più solo teoria – PORTOGRECOGENESE , e da essa nessun linguista degno di tale nome può prescindere.

Quella che avete appena sentito è l’introduzione di un mio libro – che ovviamente non scriverò mai – sul Portogrecogenese.

Per quanto riguarda la teoria tradizionale, iniziale, “canonica” (quella che io chiamo “fondamentalista”) dell’ Indoeuropeo è andata infatti esattamente così:

William Jones (Londra, 28 settembre 1746Calcutta, 27 aprile 1794) è stato un filologo, orientalista e magistrato britannico (…. …. ….), tra i primi studiosi di lingua sanscrita e precursore dell’indoeuropeistica.

L’affinità e originaria unità delle lingue i., già intravista da grammatici e studiosi del primo Settecento, e divenuta certa nella seconda metà del secolo, con W. Jones, fu poi confermata dalle indagini dei fratelli Schlegel, dei Grimm, di W. von Humboldt e F. Bopp, che nel 1833 pubblicò una grammatica comparata delle lingue i. allora note (sanscrito, iranico, greco, latino, lituano, gotico e tedesco; nella seconda edizione del 1857 comprese anche l’armeno e l’antico slavo). Nel 19° sec., il lavoro di ricostruzione della protolingua (Ursprache) condotto dalla cultura linguistica europea portò Schleicher a interpretare le diverse lingue storiche i. come una naturale differenziazione e articolazione, secondo leggi fisse, di una lingua archetipa perfetta e unitaria, l’i. comune, che si sarebbe scissa in due tronconi, orientale e occidentale, poi a loro volta ramificatisi (teoria dell’albero). (enc. Treccani, s.v.)

Naturalmente ciò che colpì e attirò di più gli studiosi inizialmente fu la presenza delle affinità del sanscrito (usato in una parte dell’India centro-nord-ovest, secondo gli studiosi fra il 1500 a.C. e i primi secoli dopo Cristo), con il greco, il latino, il germanico. Su questo punto dovremo tornare più volte.

Grazie al lavoro degli studiosi sopra citati accaddero almeno cinque cose: le prime due le dirò subito e sono bellissime; le altre tre dopo, e sono – ovviamente a parer mio – bruttissime e assai poco scientifiche.

Le due bellissime sono queste:

  1. nacque la linguistica comparativa
  2. si vide con evidenza che tramite essa si potevano confrontare fonologie apparentemente diverse tra loro se c’erano rinforzi e conferme

es.: latino sequor – greco hepomai (cfr. Latino quis – osco-umbro PIS)

prima di commentare la “mia” ipotesi portogrecogenese, va detto subito che personaggi come Varrone (I.sec. a.C.) e soprattutto Seneca (I sec. dopo Cristo) erano consapevoli di tali fenomeni (cfr. famoso cap. 8 di Ad Elviam matrem, non a caso citato spessissimo da Semerano), ma non sembravano darvi molta importanza.

Torniamo sul nostro Portokalogenese.

Ciò che vorrei che vi colpisse è che – a parte ovviamente la storiellina da me inventata e le sue conclusioni – tutto quello che vi ho detto scherzando è vero:

– è vero che Genovese e Portoghese si assomigliano, ma nessuna storia di Genova parla del Portogallo più che della Spagna, della Francia, dei Greci e dei Latini

  • è vero che nel quartiere del Boca parlano genovese
  • è vero che Colombo scoprì l’America e che i Portoghesi colonizzarono il Brasile
  • sono VERISSIMI i confronti genovese – greco antico che vi ho proposto, e appositamente ne ho scelti: uno, foneticamente convincente, sbagliatissimo; uno opinabile; tre scientificamente esatti
  • è vera la storia dell’arancia

    ma non è vera la teoria portogrecogenovese

Noi sappiamo che le cose non sono andate così, e che il genovese e il portoghese si assomigliano

in quanto neolatine, e il genovese e il greco innanzitutto per le grandi attività commerciali dei navigatori greci antichi, e poi – diciamo per ora così – perché PRIMA dell’espansione del latino e del fenomeno neolatino, erano indoeuropee. A questo punto un indoeuropeista fedele direbbe: “vedi? L’hai detto! Come c’è, ben comprovato, il fenomeno neolatino, c’è stato, mutatis mutandis uguale, quello indoeuropeo: i Latini hanno conquistato il mondo e hanno trasformato le lingue di un sacco di gente!”.

Peccato che non sia andata precisamente così:

Roma nel 500 a.C. era una polis, creata apposta, probabilmente da più etnie (etnìa…….) (il concetto di popoli come intendiamo noi oggi – lo vedremo in seguito – non esisteva): le maggiori erano: Latino, Sabino, Etrusco. A quell’epoca, 300 anni prima delle guerre puniche e duecentocinquanta dopo la sua fondazione, faceva già paura, difatti concludeva trattati di non-belligeranza con Cartagine, città peraltro fenicia, cioè semita. A Roma si parlava latino, sabino, e l’etrusco; il greco poi lo parlavano anche gli ignoranti al mercato delle verdure, un po’ come me quando parlo l’inglese “Speak-Up” quando vado in giro con mia moglie all’estero. A Roma si scriveva pochissimo, spesso in linguaggi strani e da destra a sinistra. La componente latina era per ricchezza e numero superiore. Il latino di allora fino al 200 a.C. circa, anni di quel genio che fu Plauto, era diversissimo da quello che si studia a scuola, che non parlò mai nessuno (è noto che Augusto non lo parlava se non in senato o parlando e scrivendo al popolo romano). Ricordiamo una delle attestazioni più antiche “latine”

Manios med fehfaked Noumesioi che in latino 200 a.C. – 500 d.C. sarebbe

Manius me fecit Numerio , cioè Manio mi ha fatto per Numerio. Si noti il passato di fare con il raddoppiamento greco, cosa che il latino seguente non fece mai più.

I Romani, non i latini, conquistarono il mondo; non imposero mai la loro lingua se non nei censimenti, ma esportavano dopo il primo secolo a. C. la loro letteratura. Il mondo parlava greco, o meglio ellenico, come lingua franca, e tutta un’altra serie di intelligenti lingue franche (lingua franca… … …); nel frattempo i Romani avevano distrutto i Latini: ne distrussero la religione adottando una certa versione di quella ellenica, ne cambiarono la lingua preparandone a tavolino una ufficiale, romana, al 90% riconducibile a quella latina.

Come succede nella nostra lingua di uomini , nei secoli i figli studiavano o viaggiavano o facevano carriera più dei genitori e dei nonni e degli avi; nel frattempo arriva il cristianesimo che è scritto in greco originario nel Vangelo di Giovanni ed è tradotto dall’ebraico in greco dal 200 d.C. (… Alessandria … …) ed è di derivazione ebraica. Nella seconda metà del IV secolo dopo Cristo San Girolamo, grandissimo studioso dei classici latini, si ritira nel deserto, si studia l’ebraico e l’aramaico da solo, e traduce tutta la bibbia in latino classico (= Vulgata); il suo contemporaneo e amico/nemico Sant’Agostino sa parlare e scrivere latino da fare invidia a Cicerone, e probabilmente in chiesa predica latino. Nessuno parla latino in casa, ma tutti lo capiscono e un po’ lo parlano. I figli continuano a studiare e progredire. Arrivano le invasioni barbariche. Dopo circa tre secoli di “passaggio” (300-600 d.C.) la chiesa protegge i suoi parrocchiani, collabora con i nuovi padroni, fa delle funzioni religiose un punto di riunione obbligatoria (come lo era la religione romana, ce lo dice Cicerone, per i Romani de Roma), s’impossessa della cultura. Quando il mondo si avvia al Medioevo “storico”, le lingue sono neolatine. Nel frattempo il latino di Cicerone non lo aveva mai parlato nessuno.

Se l’indoeuropeo è questo, voi avete davanti il più umile, devoto, insufficiente e convinto allievo di indoeuropeistica che si possa immaginare.

Ma dal 1800 a pochi decenni fa l’indoeuropeo non è stato questo: l’abbiamo letto sopra dalla Treccani. Su quali documenti ci si basasse per dire che era quell’ Ur da cui si sarebbero diramate quasi una ventina di lingue, lo vedremo tra poco, passando alle tre cose secondo me bruttissime che l’indoeuropeistica ha fatto.

Prima diamo un’occhiata a queste cartine (il relatore proietta e commenta le sotto riportate mappe striche):

Circa 70 anni fa un’archeologa Dorothy Annie Elizabeth Garrod , in Israele , sul Monte Carmelo, scoprì delle tombe e dei reperti che appartenevano ad una popolazione ancora sconosciuta che lei chiamò NATUFIANI, per il nome del luogo. In base all’analisi delle ossa si scoprì che essi vissero in un periodo che va da circa 10000 a 9000 anni fa. La scopetta sorprendente fu quella di uno strumento mai visto prima: un attrezzo composto da un manico di osso che ospitava delle taglienti schegge di selce. Tra quelle schegge vi erano i resti di un’antica specie di frumento. Quell’oggetto ritrovato era un falcetto! In pratica i Natufiani avevano progettato un attrezzo che doveva tagliare l’erba.

2

Prima di andare avanti in questa seconda parte vorrei provocarvi con un altro gioco, seppur meno disonesto del precedente:

[il relatore chiede quanti dei partecipanti siano del luogo, quanti conoscano il vicino capologuo della Spezia, quanti conoscano via Napoli, e cosa c’è di fronte al noto ristorante “Osteria della Corte”: sua intenzione è arrivare a vedere quanti conoscano la ivi raffigurata Madonnina, sappiano che cosa c’è scritto nel fregio sopra di Lei, e soprattutto che cosa significhi tale iscrizione e da dove il piccolo gruppo marnoreo provenga. Il gruppo è situato su un portone sul lato di una grande chiesa, quindi è naturale pensare che sia sempre stato lì; in realtà è stato “salvato” da una chiesa situata nell’area ora occupata, dal 1869, dall’arsenale militare. L’area era coltivata in parte a olivi; le intersezioni dei canali di acqua purissima (… … …) erano segnate da chiese e cappellette, probabilmente “eredi” di tempietti pagani precedenti; la costruzione dell’Arsenale annullò, confuse o distrusse tutte queste testimonianze. ]

Ora è lecito chiedersi: il cristianesimo alla Spezia non c’era prima? C’era ed era infinitamente diverso? I Piemontesi di Cavour possono essere considerati gli “Indoeuropei” dell’occasione? Quanto ha a che fare la storia fin qui raccontata col dialetto spezzino? E col cristianesimo in genere?

Dopo questa premessa, passiamo ai tre atteggiamenti secondo me poco scientifici e dannosi alla ricerca, che molti indoeuropeisti hanno abbondantemente praticato:

  1. Cercare con sicurezza un popolo, nel senso che lo intendiamo noi ora (concetto che si forma affannosamente dal 600 a.C. al 1800 romantico europeo) e una terra di origine dell’Indoeuropeo (Urheimat); quando gli indoeuropeisti stessi abbandonano tale ricerca, parlare di “ceppo” e di “civiltà”: sinceramente non ho mai capito quale sia la differenza, perché una civiltà o si rifa a un popolo, o a una serie di popoli molto imparentati e vicini tra loro, che la trasmettono o impongono agli altri, o non è una civiltà. Comunque sia, l’atteggiamento lega con sicumera – e non come ipotesi data da rilevazioni parallele – a uno strumento di comunicazione analizzabile (una lingua), realtà umane non più analizzabili mentre usavano tale strumento. Sarebbe come se noi ora attribuissimo a certi sudamericani delle zone meno agiate la mentalità, il modo di vita, la religione e gli strumenti della Spagna di oggi.

    Questo popolo, o questa civiltà vengono immaginati come vivi, dinamici, davanti agli occhi, mentre sono ipotesi che cavalcano 2000 anni

  2. Produrre come un dovere, un must, l’inserimento in ogni dizionario di una lingua “indoeuropea”, l’etimologia dall’indoeuropeo, accettando altri inserimenti solo in caso di prestiti isolati e conclamati
  3. Rifiutare ogni mescolanza attiva e forte, ogni contatto fra gruppi linguistici e loro parlanti diversi dalle “famiglie” ipotizzate

    Vedremo tra un attimo come la pensano su questo, studiosi devoti all’indoeuropeo a partire dalla metà del 1900. Prima però è doverosa un’annotazione:

    Ciò che ho provato a descrivere in 1. non era mai successo prima, e non succederà più dopo: i grandi disegni storici ed etnografici (Erodoto, Tucidide, la Bibbia, la storiografia contemporanea) di solito hanno una premessa (che dove più dove meno si tinge di mitologico o è impostata in modo dichiaratamente laico o dichiaratamente morale/religioso) sull’uomo in genere, sulla creatura umana e sulla civiltà umana, poi passano ad occuparsi di una serie di eventi circoscritti, e di solito di un popolo (la maggior parte delle volte, ma non sempre, quello a cui appartiene l’autore che scrive). Solo per l'”indoeuropeo” fra 1800 e prima metà del 1900 si vuole legare uno studio linguistico ipotetico (peraltro, l’ho già riconosciuto, molto produttivo e convincente) alla descrizione diretta di una civiltà, delle sue istituzioni e convinzioni.

    Bene, procediamo:

il prof. Tristano Bolelli (…. …. ….) èdita a Pisa le dispense (…. …. ….) del suo corso base di glottologia nel 1970. Ecco che cosa troviamo (pp. 122 e ss.):

Ad ogni modo, sui dati della comparazione, nel secolo scorso si costruì la cosiddetta paleontologia linguistica fondata sul principio che la comunità di lingua fornisce i dati più ricchi sui popoli che la parlano e la loro preistoria

a questo punto il Bolelli cita (pp. 124 – 128) tutta una serie di studiosi e di opere (la più ardita e convinta fu forse quella di Max Müller), datate fra il 1845 e il 1938, con proseguimenti fino al 1962, che sostennero tale sforzo; è bene prima di vedere come conclude il Bolelli a p. 129 notare questo: gli sforzi della seconda metà del ‘900 di descrivere una civiltà indoeuropea (Dumézil, Benveniste, etc.) non sono altro che una riedizione di tale atteggiamento, sentita come doverosa dopo l’esplosione freudiana da un lato, vari ritrovamenti archeologici da un altro, e la antropologia culturale d’avanguardia da un altro ancora, oltre alla fortunata diffusione della linguistica sincronica strutturale; e difatti, in tali opere questi strumenti e campi si confondono tra loro senza preavviso, e vengono usati in modo abbastanza leggero e non sempre dimostrabile (…. …. ….).

Ecco come conclude il Bolelli:

Tutte queste concordanze, nel loro insieme, colpiscono e inducono a credere che siano dovute a comunanza di sviluppo civile, a più stretti contatti (è importantissima, a parer mio, questa parola: contatti) fra i parlanti (e altrettanto importante è questa: parlanti) di queste lingue; ma né l’antropologia né la preistoria dicono nulla a questo proposito.

Prima di leggere un altro importante studioso lasciatemi citare un altro passo delle dispense del Bolelli (p.155):

Max Müller aveva posto il Ŗg Veda alla metà del 2° millennio av. Cr.. Certo anche questa data va spostata più in basso

Questo spunto è fondamentale; perché l’indoeuropeismo più diffuso, quello che troviamo in quattro pagine, o in due righe, all’inizio delle letterature greche del liceo classico, o nei libri di storia della secondaria di primo e secondo grado prima di parlare dei “Greci”, ma perfino in opere per studenti universitari non racconta mai quali documenti abbiamo o non abbiamo, quali sono iscrizioni coève ai parlanti di cui si parla, e quali papiri, codici (… … …); quali sono frammenti e quali parole in abbondanza.

Orbene lo Ŗg Veda sono 1028 inni religiosi; gli esperti per deduzione ne datano moltissimi in epoche storiche, e molti meno in date antichissime. Ma tutto ciò che ci è giunto, come materia che tocchiamo con le mani, appartiene a scritti che vanno dal 300 dopo Cristo in poi. Tali scritti sono redatti in alfabeto brahmi. Sapete che derivazione tecnica ha l’alfabeto brahmi? (… … …) semitica, come la maggior parte deglia alfabeti allora e tutt’ora in uso sulla terra.

Nulla vieta di pensare che una sapienza e una storia non indoeuropee, di trasmissione quasi sicuramente orale, siano state tradotte in una lingua nuova e redatte in un alfabeto nuovo, il tutto dopo la conquista mondiale di Alessandro Magno (300 a.C.) e soprattutto l’espansione commerciale greco-latina su tutta la terra. Io non penso questo, per varie ragioni peralto non sicure (… … …), ma nulla vieta di pensarlo: con la “Bibbia dei 70” in greco è avvenuto esattamente così, ed è solo un caso fortunato se esistono ancora ebrei, ebraismo, bibbie in ebraico-aramaico-greco (II libro dei Maccabèi). Si noti, “di passaggio” che grazie alle scoperte di Qumràn (… … …) sappiamo che è più affidabile rispetto alle fasi bibliche più antiche la traduzione dei “Settanta” che buona parte della tradizione masoretica…

Passiamo ad un altro studioso: nel 1987 André Martinet -nientepopodimeno che il bravo definitore della “doppia articolazione del linguaggio” (…. …. ….) -edita per Laterza in traduzione italiana L’indoeuropeo, lingue popoli e culture; brutta scelta del traduttore/editore per il titolo: il titolo originale in francese è: Des steppes ocèans, L’indo-europèen et les “Indoeuropèens”, cioè qualcosa come Le steppe oceaniche: l’ indo – europeo e gli “indoeuropei”. I trattini e le virgolette e la brutta traduzione la dicono lunga.

Questo libro (che non cita più nessuno, perché è molto elaborato e completo, e in buona parte utile, ma non disse nulla di fondamentale) è a parer mio importante: l’edizione francese è di solo un anno prima, e in pratica si tratta del riordino coerente e organizzato delle lezioni universitarie che Martinet faceva ai suoi allievi, non tanto per teorie sue, ma per non lasciarli sguarniti di tutte le informazioni aggiornate su un argomento tanto fondamentale.

A pagina 4 (la seconda scritta) troviamo:

Il sostantivo “indoeuropeo”, derivato dall’aggettivo, designa per lo più la lingua non attestata in se stessa…

poco più sotto:

Ma dalla pratica di questa nuova disciplina si capì ben presto che non poteva esservi identità tra il sanscrito e la lingua madre, che si riteneva fosse esistita in un passato assai lontano. (si noti il si riteneva, il concetto in sé e l’uso dell’imperfetto).

A pagina 3 troviamo:

Diverso è il caso dello studio attento di un fenomeno, perché allora diventa indispensabile definire con precisione ciò di cui si tratterà

a pagina 15 (sottolineature mie)

Poiché non possiamo isolare sull’asse temporale un punto atto a ricostruire uno stato di lingua, una comunità che ne faccia uso e una corrispondente cultura, la nostra visione del fenomeno indoeuropeo sarà necessariamente dinamica

Martinet ha iniziato bene: sa perfettamente che cosa è diventato l’indoeuropeo, e che cosa doveva rimanere dopo gli inizi di grandi linguisti come Bopp e Grimm: la costruzione di alcune (possibilmente sicure) radicali di significati variati ma certo collegabili (tipo : fumo, respiro, anima…) che compaiono in lingue più simili di altre fra loro. E’ quello che i vocabolari citano con * o con PIE (Proto Indo European); è quello che la mia maestra mi aveva insegnato in matematica: il massimo comun divisore (p. 4: una sorta di grandezza algebrica). Che può esistere come no, non ha importanza…

Dopo questi inizi positivi, lasciate che vi citi alcune frasi del libro di Martinet:

Là dove prevale una lingua indoeuropea, la popolazione sarà prevalentemente meticcia (p.23)

Sepolture dello stesso tipo dei kurgani, con vittime immolate, costellarono l’avanzata degli Indoeuropei attraverso l’Europa (p.43)

Poi, sul piano del senso, si sostituì al valore di “genitore” quello di capo della grande famiglia patriarcale mentre a p. 32 dice: la forma ricostruita di “padre” è pətēr, che non significa esattamente “genitore”, bensì “capo del clan”

e si potrebbe continuare…

Insomma, anche le persone informate e aggiornate poi vivono immersi in una vulgata di cui non sanno liberarsi.

Abbiamo sentito “di passaggio” citare i kurgani (…. …. ….), strano che nel libro non si parli dei natufiani: Martinet dedica a loro un intero capitolo descrivendo la loro espansione dal 4200 al 2800 a.C. circa, cioè epoche in cui la scrittura sostanzialmente non esisteva; come parlavano i kurgani? Ovviamente indoeuropeo. Quale territorio e serie di scoperte più ghiotti per individuare quasi l’ Urheimat che continua a affascinarci?

In realtà che cosa è successo? Martinet conosce il successo degli studi della Marija Gimbutas (… … … ) e sa che a lato del successo di questi Cavalli Sforza (… … …) ha studiato il DNA dei kurgani e ne ha dedotto che sono una componente dei futuri europei (la III mi pare): non può tacere da linguista su simili fenomeni. Ma noi non sapremo mai come parlavano i kurgani, quante lingue usavano, dove le avevano prese e se le insegnarono ad altri. E se tali lingue erano “indoeuropee”.

Quanto al discorso del DNA, noto che questo affascina molto (parlando con colleghi di scienze, quei pochissimi che dialogano cinque minuti con interesse su queste cose) mi sento sempre chiedere: ma perché non ti basi anche sugli studi sul dna?!?

Lasciate che vi proponga l’ennesimo gioco cattivello: prendete, rivolgendovi gentilemente, due ragazzine sudamericane delle nostre qui alla Spezia. Andate se possibile da una alta, piuttosto scura, longilinea ma robusta; e da un’altra meno slanciata, con i fianchi larghi e la pelle caffelatte chiaro. Registratele entrambe mentre parlano in spagnolo. Chiedete loro nel modo più gentile e indolore possibile un po’ di DNA, e… buona fortuna!

Ma non è finita: chiudete ai Boschetti (il cimitero comunale della Spezia nda) la registrazione e l’analisi del DNA in una tomba, e poi aspettate che ne dirà uno studioso fra più di 6000 anni…

Nel terminare questa parte vorrei prevenire un’obiezione (qui male cogitat peccat sed non fallitur): quella per cui il mio modo di fare sarebbe in senso arretrato lontano dal baluardo dell’antropologia contemporanea (quello, per capirci, di linguisti e antropologi) che fa della lingua delle comunità studiate uno dei fondamenti dello studio antropologico.

Ebbene, io sono cresciuto, e indirettamente cerco di continuare nel mio piccolo a crescere, sugli studi di Maurizio Bettini che ha portato la linea antropologica, che io approvo quasi in toto nella ricerca latina in Italia (… … …), ho sposato da 32 anni la terza laureata di Bettini, che si laureò con una tesi sulla mater nel mondo romano citata in varie pubblicazioni. Che cosa significa fare antropologia con la linguistica? Non significa giocare con i significati e le “parentele”; significa sostanzialmente due cose:

  1. individuare all’interno di una comunità assestata e certificata sistemi lessicali che mostrano sistemi sociali e soprattutto sistemi di atteggiamenti (e con prudenza e beneficio di inventario … … …)
  2. confrontare la diversa applicazione sociale di termini identici in due comunità diverse, ad esempio phrater in latno o greco, e ragionarci sopra

    Non può, e scientificamente non deve, significare altro…

3

La filologia, nella scuola italiana e forse mondiale in genere, è assai poco praticata; questa è una grave colpa e le ragioni sono varie e non siamo qui per parlare di questo.

Ma la filologia è quasi annullata nel livello divulgativo – a volte anche alto e apprezzabile – di argomenti fondamentali. La ragione inconscia qui è molto chiara: la conoscenza della datazione dei documenti che ci danno notizie, i dubbi generali sul loro stato, la loro trasmissione e tradizione impediscono di fantasticare e proporre interpretazioni riguardanti soggetti umani che ormai non possono risponderci più.

E’ bene sapere che non esistono documenti di attestazione delle fasi studiate come più antiche delle lingue “indoeuropee” diverse dal greco e dal latino precedenti al 300 dopo Cristo. Ognuno di voi può trarne le deduzioni che vuole.

Un’altra grave lacuna della scuola italiana ed europea (lacuna che – a parte encomiabili eccezioni – si estende anche agli studi universitari) riguarda un’appropriata conoscenza dell’importanza delle cosiddette lingue franche:

lingua franca La lingua usata per molti secoli nel bacino del Mediterraneo nei rapporti di commercio tra Europei, Arabi e Turchi (e ancora, qua e là, vivente), costituita da un lessico prevalentemente italiano e spagnolo (come il nostro italiano ora) con poche voci arabe, e da un sistema grammaticale estremamente semplificato. Estensivamente si chiamano lingue franche tutti quei tipi di lingue miste, sorte per necessità pratiche di comunicazione in zone o ambienti dove vengono a contatto gruppi linguistici assai diversi (enciclopedia Treccani)

peccato che quando ho proposto al nostro gentilissimo Angelo Tonelli di inserire in questa bellissima iniziativa, in modo che precedesse il mio intervento, un’eccezionale lezione, da me già ascoltata, sulla lingua franca in senso stretto da parte dell’esperto per passione ammiraglio Giorio, il programma e gli spazi qui a Lerici fossero già tutti definiti e occupati: avreste toccato con mano l’importanza e l’estensione di questi fenomeni, anche in teatro e in letteratura di lettura…

Tutto ciò che di linguistico abbiamo del mondo antico, se non è lingua franca, è letterario iperspecializzato, religioso d’èlite, o giuridico nel senso più stretto del termine. Insomma: non sapremo mai come parlava la gente in un dato punto, in un dato periodo. Mai. Né quale lingua in genere, né in che modo.

Ma, e questo è complementare e più importante, non sapremo mai se quei testi sono traduzioni di sapienze già esistenti in altra lingua; sono possessi religiosi o di biblioteca di testi stranieri; possono, in teoria, essere qualsiasi cosa.

E’ ben noto altresì che l’ellenico (il “greco”) è lingua dinamica di formazione e variazione, con cinque dialetti assai diversi tra loro che i parlanti delle poleis vivevano come vere e proprie lingue (come ora in Spagna). Probabilmente, se avessimo scoperto i frammenti della lesbica Saffo dopo le annotazioni del Jones, l’eolico sarebbe ora considerata “lingua indoeuropea” (… … …)

Orbene, tornando al discorso della filologia e della documentazione, due sono i casi in cui, nell’area “indoeuropea” abbiamo documenti sicuri e durevoli e non letterari delle lingue usate: il greco scritto in lineare B nelle tavolette di Creta, e le tavolette hittite di Hattushaš (attuale Bogaž-Koi, circa al centro – sud – ovest dell’attuale Turchia), la capitale degli “Hittiti B” (… … …); in entrambi i casi, fortunatamente, le parole riguardano liste di magazzini reali: oggetti, re, funzionari, numeri. E in entrambi i casi la datazione è al centro del millennio 2000 – 1000 a.C..

Non abbiamo, in un greco abbastanza simile a quello che si studia, come lingua e come struttura e scrittura, un’attestazione sicura di uso popolare e al tempo stesso letterario, precedente alla “Coppa di Nestore”.

E questa è di solito datata al VII secolo, è stata trovata a Ischia (… … …) nel 1955 e cita in un certo senso un passo di Omero.

Invece, abbiamo ricchezza di lapidi, iscrizioni et similia nello stesso millennioo e oltre per quanto riguarda le lingue “semite” in genere e soprattutto l’aramaico (… … …) in un’ area che va dall’India quasi esclusa alla Cappadocia, cioè sfiora l’area ellenica e quasi interseca quella hittita. Gli Hittiti, peraltro sono citati fin dalle prime pagine dalla Bibbia, anche se non si è univoci oggi nell’identificare a chi il testo si riferisca.

E’ bene dire la verità sull’hittito: esso è praticamente un “greco un po’ semitizzato”:

ad esempio uomo si diceva ANTHUSHAŠ, dove anth- è identico all’idea applicata per anthroopos greco (“colui che tiene il viso in alto, in avanti, di fronte a te”), e -ush, anche se nessuno ovviamente lo dice, è il modo in cui le prime pagine della bibbia e l’ebraico tutt’ora chiamano la persona umana:

ISH – ISHAH (… … …)

sul “freno” che è stato posto alla ricerca su questo fenomeno linguistico (cioè la denominazione di maschio – femmina nell’homo sapiens) dalle ideologie banalizzanti applicate alla linguistica, e dalle ipotesi etimologiche esercitate non su mappe strutturate dalle comunità umane (la lingua fu un prodotto da usare, e vinsero le lingue particolarmente agili e in un certo senso intelligenti) ho preparato due schede strutturate che mi sembrano belline: ora le saltiamo per ragioni di tempo e di “filo del discorso”; se avanza tempo le guardiamo, altrimenti chi è interessato le leggerà on line…i

Prima di trarre una conclusione, diciamo la cosa più importante:

un concetto di patria simile al nostro fino al 600 a.C. circa non esisteva. Ho cercato di spiegare e documentare bene questo (cosa d’altronde che tutti gli studiosi sanno) in un mio lavoro per la rivista filosofica GLAUX (… … …); di popolo meno che mai: bisognerebbe spiegare bene ai ragazzi che cosa vuol dire tale parola nel ben noto SPQR (… … …). Il concetto di popolo come lo intendiamo noi oggi si forma affanosamente e non sempre onestamente da Carlo Magno, Lutero, e soprattutto dal Romanticismo e dai Risorgimenti europei. Come i grandi archeologi tedeschi e inglesi hanno scaraventato su Pilo, Cnosso, Troia, l’idea di palazzo e regno dei loro tempi e/o delle corti rinascimentali, dando filo da torcere ai loro successori più scientifici, così nella scuola, e spesso anche al livello successivo, succede per queste cose: il popolo, la lingua, la civiltà, la “cultura”.

Che cosa esisteva allora, a ridosso della fondazione e impressionante moltiplicazione delle poleis greche, che appartiene a quel secolo d’oro che è il 600 a.C. ?

Esistevano delle famiglie. Queste famiglie facevano alleanze tra loro. Queste alleanze erano fatte a volte anche per territori molto distanti (concetto ellenico di XENIA e PHRATRìA): Erodoto stupendamente ci attesta che gli ACHAIMENIDI, cioè il grande e esteso “popolo” dei grandi Persiani (ci troviamo nel 530 a.C.), erano di fatto una phratria (… … …).

Queste famiglie (o, se vogliamo, piccoli popoli organizzati) si riunivano a volte in associazioni a fini di conquista (spesso sarebbe meglio chiamarla predazione): è il caso dei cosiddetti popoli del mare, e – cosa assolutamente troppo poco chiarita dalla scuola ai ragazzi) degli assalitori di Troia, agli ordini assai poco ascoltati del povero Agamennone, che riuniscono (ma qui probabilmente Omero è letterario – antropologico nello stesso modo in cui lo sarà l’Ariosto) un commerciante filosofo come Odisseo e un “uomo d’onore” vecchio stampo come Achille.

Procediamo: siamo sicuri, assolutamente sicuri, che l’ aramaico (… … …) era lingua franca nel territorio sopra descritto, escluso quello ellenico e più ad ovest, da prima del 1000 a.C. e oltre. In certi periodi fu adottato dalle cancellerie di stati forti, come appunto quello persiano (popolo che ospita una versione dell’ “indoeuropeo”!), in epoca storica. Anche queste cose, gli studiosi seri le sanno tutti, ma le dicono troppo poco (si veda la voce ARAMEI in Treccani, elaborata da uno studioso di calibro veramente notevole quale Giorgio Levi Della Vida).

Su quanto lo fosse l’ellenico nello stesso periodo, spero nessuno abbia dubbi. La principale forza degli antichi elleni fu il commercio associato alla navigazione.

E’ molto probabile, a parer mio, che l’dea di individuare lingue ben precise e poco mutevoli legaye a comunità individuabili e poco “liquide” appartenga consapevolmente al periodo 250-a.C. – 100 d.C., come confermerebbero l’atteggiamento dei sovrani e degli esperti dell’Ellenismo in genere, le scoperte di Qumran, e la Stele di Rosetta. Probabilmente, nei periodi precedenti, e soprattutto prima del “secolo d’oro”, cioè il 600 a.C., si aveva del rapporto lingue-popolo-comunicazione, un’idea almeno in parte diversa: quello che sarà poi la traduzione e la conoscenza delle lingue era invece una pratica – tipo la nostra (maldestra ed efficace) dell’inglese speak up – di lingue franche, di lingue miste, di lingue più agili e famose per ragioni svariate e non necessariamente uniformabili. Questo potrebbe aver formato anche quello che da 150 anni alcuni continuano a chiamare indoeuropeo. Questa, che vi propongo, è un’idea banale e secondo me approvabile, ma non mi sembra nemmeno il caso di farne una teoria da affermare e difendere…

Un’ultima annotazione: noi trattiamo per tutta una serie di responsabilità del Romanticismo i Greci antichi come “figli di Omero”; certo se pensiamo che si imparava a memoria nelle scuole ateniesi del 400 a.C. i conti tornano. Ma anche i nostri ragazzi studiano (studiavano) Dante approfonditamente e obbligatoriamente (… … …). I greci stessi però stimavano molto Esiodo, inventavano storielline in cui i due gareggiano in indovinelli (vince Esiodo) e cose simili. Esiodo è della Beozia, e Tebe è città colonizzata dai Fenici (di fronte ai sigilli delle anfore ritrovate, si piegano anche i più ortodossi degli indoeuropeisti); le sue opere alludono spesso alle formule omeriche, usano a piene mani gli dei e gli eroi di Omero; ma parlano poco di guerra, e spesso in modo negativo. Parlano di lavoro, di terra, e di religione. Se un marziano leggesse il suo inno a Zeus, noterebbe somiglianze fortissime con il Magnificat attribuito dal NT a Maria di Nazaret.

Ma Esiodo era un greco doc, a tutti gli effetti: non era né semita, né cristiano (sulla seconda cosa non ci sono dubbi!).

Possiamo a questo punto, prima di fare una umile e piccola proposta, mettere in fila quelle che secondo me sono responsabilità di una parte degli “indoeuropeisti”, e dei sostenitori del “miracolo greco” riferito alla figura di un “popolo” come lo intendiamo noi oggi:

  • “blocca” etimologie e interessanti confronti culturali

  • non è razzista o veterofitogenetico, ma offre molte possibilità a chi lo è

  • considera versioni scritte che sono elitarie, “nazionali”, a volte di dubbia datazione , come linguistica storica assoluta

  • usa mescolandoli insieme con scarsa metodologia: società, antropologia, mentalità, lingua, letterature

è venuto il momento di chiederci: senza quel volgare tubo enorme che era il razzo vettore di partenza, e la sua direzione meticolosamente studiata, le Gemini e i LEM dove sarebbero arrivati?

Si consideri infine che sono attestate iscrizioni in aramaico e in hittito “b” nei rispettivi territori “incrociati” delle due lingue.

Insomma, secondo me l'”indoeuropeo” sarebbe l’ellenico, che come farà il latino nel modo sopra studiato, si sarebbe spartito il mondo (a volte anche in modo pacifico e collaborativo) con l’aramaico e poche altre lingue franche in continua espansione. Espansione data dal commercio, a volte da conquiste, ma soprattutto dal fornire lo strumento lingua (… … …), e poi in entrambi i casi lo strumento alfabeto fonetico moderno alla politica, alla finanza, alla letteratura. (vd. Cartina 2)

da qui in poi, con o senza Semerano, ci occuperemo di sostenere questa idea

4

Abbiamo detto che una delle responsabilità dell’indoeuropeismo esclusivo e eccessivo è “bloccare” gli studiosi in etimologie o confronti con lingue “non-indoeuropee”. Tra poco parleremo della posizione e dei libri di Giovanni Semerano. Prima vi faccio vedere alcune mie ricerche autonome che ho svolto apposta per questo incontro nel giro di due mesi scarsi, grazie ai favolosi dizionari messi a disposizione da Inet (… … …); sono quasi tutti a partire dall’ebraico attuale, sia per facilitare la ricerca (… … …) , sia perché, è noto, l’ebraico attuale è fedele alla sua propria lingua e cultura antica, ma accoglie in sé anche molte influenze date dalla storia degli ebrei; ciò va nella direzione che mi sento di sostenere: da una parte i “popoli” e le lingue si sono sempre mescolati molto, molto di più di quanto finora si è creduto, con fasi che vanno da due milioni di anni fa a oggi, e almeno in tre modi:

ADOZIONE DI LINGUE AGILI E PRATICHE

ESPANSIONE DI POPOLI PIU’ FORTI E ACCETTAZIONE LORO LINGUA, MESCOLANZE (l’unico fenomeno accettato dagli indoeuropeisti “fondamentalisti”; esempio fatto a voce dei Rumeni, che comunque non hanno mai parlato latino)

SOVRAPPOSIZIONI E MESCOLANZE CONTINUE, SCONOSCIUTE E INCONTROLLABILI;

dall’altra le lingue vincenti non erano quelle di un “popolo” che le imponeva, ma quelle create in modo più pratico e intelligente, o più letterario, o imposte per il commercio o vissute da religiosità estese, o più di uno di questi aspetti messi insieme;

prima di partire però, diamo un’occhiata a cosa dice l’ Etymology Dictionary on line (strumento che usa regolarmente e obbligatoriamente le PIE) sul termine wine:

Old English win “wine,” from Proto-Germanic *winam (source also of Old Saxon, Old Frisian, Old High German win, Old Norse vin, Dutch wijn, German Wein), an early borrowing from Latin vinum “wine,” from PIE *woin-o-, related to words for “wine” in Greek (oinos), Armenian, Hittite, and non-Indo-European Georgian and West Semitic (Arabic wain, Hebrew yayin), probably from a lost Mediterranean language word *win-/*woin- “wine.” ( immaginare le frecce… ).

proseguiamo:

hittito adanna cibo, latino edere mangiare = greco έδομαι; antico indiano adanam cibo, armeno utem ; in arabo abbiamo Transliteration gẖdẖạʾ Pronunciation ɣi’ðaːʔ; nutrire: a’t’am / ‘it’am

invece in ebraico s’d saad (la s’- iniziale non deve fare difficoltà: sono gli “indoeuropeisti” stessi, ad esempio, a riferire il greco κυέω sono gravida, porto in grembo all’antico indiano svaiati, in cui ovviamente la comparazione riguarda –vai-, secondo le corrispondenze frequenti in i.e. -kw- -ku- -v-) sia mangiare che indigenza, sussidio (cfr. lat. satis, italiano sazio, satollo, ingl. satisfaction = soddisfazione), armeno շատ (= šat)

SAPERE y’d hjeda (edò) ειδω οιδα (riflettiamo su questo: le traduzioni in sanscrito di sapere, saggio, vedere, conoscere corrispondono a tale radice, ma in modo meno immediato e all’interno di altre corrispondenze di fonetica assai diversa)1; inoltre in ebraico abbiamo: מודעות :conoscenza, consapevolezza, coscienza : Transliteration mwdʻwţ (moodhut) che potrebbe ricordare μαθεόμαι

Si tenga anche presente che tra i morfemi più in uso sia in ebraico che in arabo per il significato di “vedere” compaiono ray, rad, rey e mar mir riferibili a όράω, radium, raggio e miror…

AMARE leehov (cfr. il film documentario israeliano:Eykh hifsaqti lefaḥed velamadeti leehov et Ariq Sharon (1997, Come ho imparato a superare le mie paure e ad amare Arik Sharon, video) dell’israeliano Avi Mograb si legga questa etimologia del noto termine inglese love dall’ Online Etymology Dictionary:

Old English lufu “feeling of love; romantic sexual attraction; affection; friendliness; the love of God; Love as an abstraction or personification,” from Proto-Germanic *lubo (source also of Old High German liubi “joy,” German Liebe “love;” Old Norse, Old Frisian, Dutch lof; German Lob “praise;” Old Saxon liof, Old Frisian liaf, Dutch lief, Old High German liob, German lieb, Gothic liufs “dear, beloved”). The Germanic words are from PIE root *leubh- “to care, desire, love.”

cfr. l’indoeuropeissimo latino libet

gli israeliani hanno adottato l’inglese? Può darsi; in realtà il fatto è che in ebraico cuore si dice lev; sta di fatto che…

AMARE: oggi un ragazzo direbbe a una ragazza (o viceversa) ani ohev io (ti) amo; in ebraico antico avrebbe detto ahavah… come non pensare ad αγαπάω, che nei lessici non ha alcun confronto “indoeuropeo”, ma è attestato da Penelope per Ulisse in Od. 23, 214? Ottimo a parer mio anche il cfr. con lt. aveo.

Nell’ebraico antico della Bibbia amore si dice anche chesed , che è qualsiasi tipo d’amore (fuorché quello esclusivamente del piacere corporeo) olam chesed ibané: il mondo dall’amore è costruito , corrispondente al greco όλα( κόσμι= tutt’insieme!”)(cfr. Ebraico attuale kol) χαίρει έβην , “tutto per grazia-amore è venuto” (infatti βαίνω in Aristotele e altrove è usato anche per indicare la costruzione di figure geometriche, oltre a dar luogo a βήμα, che come tutti i grecisti sanno vuole dire “base solida”; può sembrare azzardato e forse lo è, si consideri però che in ebraico /baˈna/ e bnyyh significano costruire, mentre b’ , ba venire). (per l’alternanza -s-/-r- si veda, oltre al ben noto esempio Lases / Lares, L.R.Palmer, La lingua latina , ed. it. Torino 1977. Si ragioni inoltre su fenomeni come il nostro coerente/coeso; aderente/adesivo: da che cosa si formano davvero le lingue?… … …).

LUCE ‘wr (w)or οράω (… … …)

VEDERE ra’ah (c.s. idea del “raggio”)

BLU’ kahol lt. coelum, caelum (… … …)

SE (nel senso di if) ‘n greco αν

ZUCCHETTO PER LA TESTA, CUPOLA DEL CAPO, arabo COPRICAPO

kippà, arabo kephià greco κέφα κεφαλή tedesco kopf, haupt, napoletano ‘n coppa inglese head da habid caput etc, latino e antico indiano caput

COPPIA NEL SENSO DI PAIO zwg zog greco ζευγος giogo

COPPIA M/F DI MATRIMONIO nisuìn lat. nexus

POPOLI DEL MARE gwyym (goìm), CRISTIANI goìm (“gentili”: cfr. Paolo che chiama i cristiani non ebrei ‘Ελλενες, e San Girolamo che traduce gentiles)

greco πελάσγοι (… … …!!!) armeno attuale kzohvì

TERRA ‘erez ingl. heart (vogliamo vedere le etimologie “indoeuropee” ipotizzate?)

SCURO (polemica sul nome “Europa”…) ereb greco έρεβος

CAMMINARE A PIEDI hlk halak(e) ingl. Walk

CORSO O POLLA D’ACQUA uadi greco ΰδατος ingl. Water

BAMBINO-BAMBINI yelad – yeladihm ingl. child – children (… … …)

IL NOME DEL TIGLIO tilia il nome è identico al nome latino, e qualsiasi

dizionario italiano offre dovizia di confronti

“indoeuropei”, ma… non per il greco (ασβέστης,

peraltro non attestato in greco antico; l’inglese:

lime; il tedesco:Linde… Che dire, visto che ogni

trattazione “blasonata” dell’indoeuropeo parte

dal nome diffuso della betulla o del faggio? In

realtà tiglio dovrebbe venire proprio dal greco

antico πτίλιον: “penna leggera” per la forma

delle foglie, ma non si è affatto certi. L’ellenico

“internazionale” dunque, non il “genetico”

indoeuropeo sembrerebbe il responsabile del-

la denominazione

si guardi ora a questo sistema:

dalla facilità con cui l’infante inizia a pronunciare, si formano le espressioni ma pa che vengono indirizzate dalle culture umane in madre e padre. In ebraico abbiamo (a)bà e ym(à) tant’è vero che in alcune regioni italiane si preferisce babbo. Figlio in ebraico si dice ben , seguendo la struttura di cui sopra dovremmo avere qualcosa in occidente tipo pe- : e difatti il greco παίς evolve (ma probabilmente si pronunciava già così) in pe- (cfr. pedofilo); “a latere” si consideri anche lat. puer, puella, francese petit per dire piccolo, etc. italiano bamb(ino).

e veniamo alla provocazione più grande: ARIYA, ARIANI = alti, nobili – Ahraràt=monte alto, ARAMEI= nobili, oppure le famiglie dell’altipiano; nome proprio HARA’M che si dà ancora ora = nobile (con buona pace di chi state pensando…)

Spostandoci su un piano culturale e non linguistico in senso stretto, credo tutti conosciate il mito di Adone (… … …), di origine babilonese (… … …); sembra che Saffo nei suoi suoi inni d’amore finisse invocandolo, e per questo il metro da lei inventato è detto adonio. Ebbene tutti sanno che gli ebrei più osservanti tendono a non pronunciare i nomi di Dio (… … … + lingua suono di Dio … … …), sostituendoli con una A., che significa ADONAI, e che questo derivi da Adonis lo sanno e riconoscono tutti:

Shamà Israel, Adonai eloh enu (cfr. Senofane: … ma uno solo è Dio)

che bel “giro culturale” abbiamo fatto da prima del 600 a.C. , eh? Queste sono cose che sanno tutti. Ma non è finita: per i cattolici tutta la Bibbia è parola di Dio, e san Girolamo traduce “Dio” Deus, il cui termine indicava gli dei latini, lo θεός dei greci, e tutto questo è successo in meno di mille anni (600 a.C. – 350 d.C.): immaginiamoci cosa può essere successo fra 3000 e 600 a.C.)

i numeri SEI e SETTE: ebraico שֵׁשׁ şé̌ş̌, שבעה shi’va (sei e sette sono i due numeri che si assomigliano di più fra lingue diverse)

Vi informo che potrrei continuare, sia con altri confronti lessicali, sia con analisi grammaticali fra ebraico e lingue come le nostre antiche o europee di oggi…

5

Giovanni Maria Semerano (Ostuni, 21 febbraio 1911Firenze, 20 luglio 2005) è stato un bibliotecario, filologo e linguista italiano, studioso delle antiche lingue europee e mesopotamiche. Autore di ampi dizionari etimologici di greco e latino in cui ha proposto una sua innovativa teoria delle origini della cultura europea, in base alla quale le lingue europee risulterebbero così essere di provenienza mediterranea e fondamentalmente semitica .

Il primo punto dunque è: Semerno adotta la stessa prospettiva degli “indoeuropeisti fondamentalisti”, semplicemente la rovescia a favore delle lingue semite, esplicitando nel suo ultimo libro di pensare principalmente all’accadico del primo Sargon, il cui impero (c.2334-2279 a.C.) , secondo iscrizioni poste da lui stesso, sarebbe arrivato fino al Mediterraneo…

Le origini della cultura europea : quattro volumi autonomi tra il 1984 e il 1994

  • I primi due volumi (Dizionario della lingua latina e delle voci moderne e Dizionario della lingua greca) in cui indaga 7.300 termini e pensa di rintracciarli nelle antiche lingue semitiche ( sottotitolo: “Basi semitiche delle lingue europee“).
  • Gli altri due volumi sono entrambi sottotitolati: Rivelazioni della linguistica storica – in appendice Il messaggio etrusco , su tale “messaggio” ritorna in Il popolo che sconfisse la morte.
  • L’opera di maggiore provocazione è L’infinito, un equivoco millenario, assieme all’ultima del 2005 La favola dell’Indoeuropeo.

Nel suo lavoro, Semerano mette dunque a confronto migliaia di termini delle antiche lingue europee, attestati, con le lingue semitiche.

 

Vediamo, dopo il Dizionario, molto brevemente le opere una ad una.

 

(l’ncontro prosegue con il riassunto delle opere, con i tratti che secondo il relatore sono più interessanti, più convincenti, o meno; con la sostanza affidata ad ogni libro; ci si sofferma un po’ sulla immediata opposizione di Salvatore Settis; si riportano le discussioni linguistiche più note e importanti*: qui sotto se ne discute una sola; si sottolinea la differenza tra la posizione di Semerano e quella del relatore stesso)

 

manu (e numeri etruschi), Atàlu, afar – eperu, -atr- (cfr. -aggiungerei- greco –τρον * “luogo in cui si…”: θεάτρον; λούτρον, etc.

[il relatore – tempo permettendo – propone la lettura delle prime parole delle tavole di Cortona con corrispettivi di lingue semitiche poposti da Semerano in Il popolo che sconfisse la morte , e con sue annotazioni su come alcuni dei termini richiamino anche noti formanti latini o greci]

NAC REST MC CENU : qui la prima accanto è la tomba

 

xy = P. Bertini

xy = Semerano

 

(area semita):laqash…………… latino:lego, λέγω/λόγος… lt. loquor (parlare)

[n.b.: sia scegliere che leg-

gere che parlare]

tok (indice in ebraico)………………………δείκνυμι (mostrare, indicare) lt. dico = dire

appwndice sui nomi dei mesi ad uso e consumo del lettore

ITALIANO ATTUALE

BASCO ATTUALE

SANSCRITO ATTUALE

UNGHERESE

EBRAICO ATTUALE

gennaio

urtarril (anno, stagione)

janavarī

január (ma anche zuzoros=mese del gelo)

januaʁ

febbraio

otsail (dei lupi?)

pharavarī

február (ma anche enyheges )

febʁuaʁ

marzo

martxo

We don’t have straight translations

március

meʁʦ

aprile

apiril

āṅglavarṣasya caturthamāsaḥ

április (ma anche nyilonos =aprirsi)

apʁil

maggio

maiatz

vaiśākhajyēṣṭham

május

maj

giugno

ekain

jūna

június (ma anche termenes = raccolto)

juni

luglio

uztail

julā’ī

július (ma anche

halászonos= adatto alla pesca? , cfr. greco άλιεύω )

juli

agosto

Abuztu

MA IN BABILONESE/ EBRAICO luglio/agosto è abhu/’abh

agastamāsa

augusztus (ma anche hévenes =

probabilmente forte, cfr. ingl. heavy)

ogust

settembre

irail

bhādrapadāśvinaṁ

szeptember (ma anche gyümölcsönös mese del mosto, cfr. latino mulceo)

septembeʁ

ottobre

urri

aktūbara

október (ma anche

mustonos =c.s. con sinonimo)

oktobeʁ

novembre

azaro

navambara

november (ma anche gémberes )

novembeʁ

dicembre

abendu (avvento)

disambara

december

deʦembeʁ

N.

Prima

dell’esilio

Dopo l’esilio

Periodo

abìb

nissàn

Marzo – aprile

ziv

iyàr

Aprile – maggio

sivàn

Maggio – giugno

tamùs

Giugno – luglio

av

Luglio – agosto

elùl

Agosto – settembre

etanìm

tishrì

Settembre – ottobre

bul

cheshvàn

Ottobre – novembre

kislèv

Novembre – dicembre

10°

tevèt

Dicembre – gennaio

11°

shvat

Gennaio – febbraio

12°

adàr

Febbraio – marzo

*

veadàr

1जानाति sapere Transliteration jānāt ; विवेक saggezza sapienza Transliteration vivēka (manca il fonema D !) ; पश्यति vedere Transliteration paśyati ; वेत्ति { verb } वेत्ति vedere Transliteration vētt ; conoscere विद्या conoscenza scienza , Transliteration vidyā (che arriva per terzo nel lemma)

iSe invece di chiederci il significato di un termine in sé, o di confrontare femina con l’organo dell’allattamento θηλη, appoggiandoci alla corrispondenza indoeuropeistica f – θ (… … …), e poi proseguire tutto questo magari in discorsi sociali o addirittura ideologici, guardassimo a mappe come quelle sotto riportate, forse capiremmo che l’uomo ha chiamato la persona umana e poi, essendo questa di due sessi, ha “marcato”, come direbbe Trubečkoj, l’elemento che è persona umana quanto l’altro, semplicemente però è anche diverso (… … su questo si può vedere anche un mio studio sulla “grammatica della famiglia” ormai di tanti anni fa … …):

hawah (Eva) ish (creatura umana) gn (nascita, generazione,

esistenza… … …)

woman ishah (creatura umana “femmina”) γυνή

gna (a.indiano)

weib + man, men , min she queen

(si tenga presente, tra peren- is genus tesi, che min in ebraico è uno dei

humanus vari modi di dire sesso, e comprende giapponese jin (persona)

anche il significasto specie

hominis fujin (signora)

(come nel modello strutturale della prima colonna)

femina

tra l’altro, consideriamo che appoggiarsi alla linguistica per fare ideologia fa un cattivo servizio all’ideologia stessa, quella seria e sincera: è basandosi sulle affermazioni esplicite e sulle azioni dell’avversario che si dimostra il suo maschilismo, femminismo, patri- o matri- arcalità (… … ..), non prendendo parole formate con pazienza e tecnica dall’animale umano e giocandoci sopra (esempio degli episodi biblici di Tamar o di Susanna e i vecchioni, e di come vengono narrati, rispettivamente 2Sam 13:1-33 e Daniele 13).

Pensiamo al fatto che donna (domina) significa padrona: erano società attente alla donna quelle che crearono tale designazione? E come era trattata una donna libera nella “democratica” Atene del 400 a.C.? Non si fa ideologia, o sociologia in grande stile, con le parole. Si fa invece , direi, micro-sociologia”: ad esempio a Roma, per quanto riguarda il patrimonio, la donna aveva una collocazione migliore che in altri stati. Si fa poi microstoria degli atteggiamenti: ad esempio, in società per nulla tenere con le figlie femmine, come quella romana antica o quella fiorentina del ‘300, si cerca la “padrona del cuore”…; ma se noi non avessimo ricevuto e studiato con pazienza tutte queste cose, che messaggio riceveremmo, interpretandolo immediatamente e superficialmente, tra queen (“generatrice”) e domina (“padrona”)?

GIOCHINI SUL NUMERO UNO

lingue “indoeuropee” sanscrito lingue isolate, lingue ugrofinniche

greco έν eka(m) giapponese ichi / noun

latino unus finlandese yksi

ingl. one ungherese egy

ted. Ein

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